L’armamentario dello psichiatra comprende quattro categorie di farmaci (i cosiddetti “psicofarmaci”): gli antipsicotici (che riducono i deliri e le allucinazioni), gli ansiolitici (che alleviano l’ansia), gli antidepressivi (che migliorano l’umore) e gli stabilizzanti dell’umore (che evitano i picchi di tristezza e di “mania”, caratteristici del disturbo bipolare). Si tratta di farmaci scoperti per serendipità, cioè per caso: mentre erano studiati per altri motivi, si è scoperto che avevano anche un effetto sul comportamento.
Studiando il loro meccanismo d’azione sono quindi state ipotizzate le cause dei vari disturbi. Poiché gli antidepressivi aumentano la disponibilità del neurotrasmettitore serotonina si è ipotizzato che la depressione sia causata da una sua carenza. Poiché invece gli antipsicotici abbassano la dopamina si è ipotizzato che malattie quali la schizofrenia siano causate da un eccesso di questo neurotrasmettitore.
Tuttavia ogni malato fa storia a sé, cioè non è dato sapere quali farmaci del ventaglio a disposizione, e a quali dosaggi, funzionerà meglio, per cui gran parte del lavoro dello psichiatra consiste nel calibrare la terapia sul singolo paziente procedendo per tentativi, associando spesso farmaci diversi e monitorando l’insorgenza di effetti collaterali (che spesso servono a capire quando si è raggiunta la dose terapeutica). L’insorgenza di effetti collaterali – che nei farmaci di nuova generazione è comunque contenuta – è spesso inevitabile, ed è dovuta al fatto che i neurotrasmettitori cerebrali hanno varie funzioni, e non solo quella legata al disturbo che si vuole curare.