L’analisi transazionale è una teoria psicologica ideata negli anni ’50 da Eric Berne, basata su un linguaggio più semplice rispetto a quello della psicoanalisi e su un’attenzione particolare alla RELAZIONE tra paziente e terapeuta.
Dal punto di vista storico l’analisi transazionale si inserisce nella cosiddetta “terza forza” della psicologia (la prima è la psicoanalisi, la seconda il comportamentismo). La terza forza, detta anche “umanistica“, dà importanza soprattutto a:
– la RELAZIONE
– la possibilità che ha ciascuno di noi di SCEGLIERE il proprio destino
– le capacità INTUITIVE e i processi simbolici
– la RESPONSABILITÀ di entrambi i membri della relazione nella riuscita della terapia: il paziente è il vero esperto di se stesso, il terapeuta è un facilitatore del cambiamento desiderato e progressivamente messo a fuoco insieme al paziente.
Ecco alcune delle ragioni che mi hanno avvicinato all’ANALISI TRANSAZIONALE:
- LA FLESSIBILITÀ. Il modello teorico dell’Analisi Transazionale è in continuo aggiornamento e tiene d’occhio i risultati della ricerca scientifica (in particolare le neuroscienze) e i punti di vista di altre scuole psicoterapeutiche (dalla psicoanalisi alla psicoterapia cognitivo-comportamentale). Si tratta dunque di un metodo che ha una vocazione “integrativa”, aperto alle contaminazioni con punti di vista e tecniche provenienti da altri modelli teorici (per esempio, nel mio caso, la mindfulness, l’EMDR e le tecniche di psicoterapia strategica).
- IL LINGUAGGIO. Nella mia esperienza professionale (compresa quella in campo giornalistico) ho sempre cercato di rendere comprensibili – attraverso le parole, le metafore, gli esempi – argomenti molto complessi e specialistici. Anche Eric Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale, ha scelto di avvalersi di concetti accessibili e immediatamente evocativi – come quelli di Bambino-Adulto-Genitore, di giochi o di copione – per instaurare una relazione il più possibile “alla pari” con i suoi pazienti.
- BERNE ERA UN MEDICO. La medicina ha una storia ultramillenaria, che ha permesso di arrivare a un bagaglio di conoscenze più concrete e condivise rispetto alla psicologia, e un’etica di lungo corso (riassunta nel giuramento di Ippocrate). Come Berne, riconosco in me un’esigenza di concretezza e di principi condivisi, e nel contempo il desiderio di esplorare la psiche con strumenti e linguaggi diversi rispetto a quelli della medicina. L’analisi transazionale è sempre stata aperta al dialogo tra medici e psicologi: ho avuto anche la fortuna di potermi formare in una classe “mista”, dove il confronto tra i due mondi e i due linguaggi è sempre stato stimolante e proficuo.
- L’INTERSOGGETTIVITÀ. Durante il mio percorso di studi e professionale mi sono progressivamente allontanata dalla tendenza a “oggettivare” il paziente propria dell’approccio medico. Mi sento più in linea con un atteggiamento che mette terapeuta e paziente sullo stesso piano, e che promuove la relazione e la collaborazione: non c’è un Soggetto che cura un Oggetto che viene curato, ma due Soggetti che interagiscono.
- IL POTERE INNATO DI AUTOGUARIGIONE. Berne cita l’espressione di Ippocrate “Vis Maedicatrix Naturae” per sottolineare come il nostro organismo possegga in sé la capacità di correggere gli squilibri, e come sia importante vedere e sostenere le aree sane della persona oltre che rilevarne gli aspetti disfunzionali. Un’idea in contrapposizione con la medicina tradizionale, che tende a coltivare il “pensiero magico” di poter curare qualsiasi sofferenza o disagio con i farmaci. Ritengo che ogni sintomo possa essere visto come un messaggio da ascoltare prima che come un nemico da combattere, e che spesso da una malattia si esca più fortificati che compromessi. Credo cioè che il rapporto con i sintomi e con le malattie vada rivisto secondo un’ottica di accoglienza invece che di aggressione.
- L’USO DEL “CONTRATTO”. Serve a fare chiarezza sulla direzione della terapia, e fa in modo che gli obiettivi non vengano stabiliti solo dal curante o dal paziente, ma che siano il frutto di un impegno congiunto, di una trattativa che può essere continuamente rinegoziata nel corso della terapia.
Ecco infine alcuni concetti chiave dell’Analisi Transazionale, che può essere utile conoscere prima di iniziare un percorso terapeutico:
- L’okness. Per stare bene è necessario avere fiducia nelle proprie capacità (pur conoscendo i propri limiti), e insieme avere fiducia negli altri e nella possibilità di instaurare buone relazioni con loro. L’okness (concetto che spesso è riassunto con l’espressione “io sono ok, tu sei ok”) richiama anche il fatto che ciascuno di noi è in grado di farsi carico della propria vita e di prendere decisioni su di sé.
- I giochi psicologici. Sono le trappole psicologiche che caratterizzano molte relazioni. Eric Berne, con il suo libro A che gioco giochiamo (pubblicato per la prima volta nel 1964), ha aperto un campo di ricerca che merita di essere ripreso e approfondito.
- Il copione di vita. Così viene chiamato il progetto esistenziale che ciascuno di noi matura in genere nella prima infanzia, anche se spesso non ne è consapevole. Il copione consente di strutturare l’identità e di mettere ordine nella confusione della vita, ma talvolta interferisce con i nostri desideri reali. Un obiettivo terapeutico potrebbe essere quello di modificare il proprio copione, rendendolo più funzionale alla propria realtà.
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