Intervista a Duccio Demetrio

Secondo il filosofo Duccio Demetrio, il modo migliore per affrontare periodi di confusione e di stasi è scrivere: aiuta a sbloccarsi e porta nuova linfa al proprio cammino

Filosofo e scrittore, Duccio Demetrio è il direttore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, da lui fondata nel 1998, e dell’Accademia del silenzio. Le sue ricerche, insieme ai corsi che tiene in varie parti di Italia, promuovono la scrittura di sé, allo scopo di sviluppare il pensiero interiore e autoanalitico, e come pratica filosofica e terapeutica.
Già centinaia di persone si sono recate ad Anghiari (un borgo della provincia di Arezzo, considerato tra i più belli d’Italia) per ritrovare la voglia di occuparsi di sé, ma anche per scoprire le storie degli altri.

Quando ha cominciato a interessarsi di autobiografia?
Come filosofo, mi sono interrogato sul ruolo della scrittura nella vita adulta. Avevo la sensazione – e nella mia esperienza continuo ad averne le prove – che la scrittura metodica, non episodica, allo scopo di esplorare il proprio mondo interno, abbia un potere straordinario.
Il modo in cui è stata accolta la nostra università, una scuola esistenziale dedicata alla ricerca della propria origine, ci ha fatto capire che abbiamo raccolto una richiesta sociale importante: scrivere di sé può essere un valido antidoto alla crisi della contemporaneità, che fa sentire molte persone sole, fragili e non riconosciute. Noi le aiutiamo lungo un percorso che parte dal raccogliere stimoli e dall’aprirsi a esperienze interpersonali e si conclude con la consegna della propria autobiografia. Questa viene letta da “autobiografi”, persone già passate attraverso l’esperienza della scrittura di sé, che possono per esempio invitare l’autore ad approfondire alcune parti che sono state trascurate.

Anche le neuroscienze lo dimostrano: quando guardiamo una nostra foto, si attivano varie zone del cervello, in particolare l’insula, cioè la sede dell’emotività, e la corteccia prefrontale mediale, dove si trova il centro del linguaggio.
È come se esistesse un istinto autobiografico in ciascuno di noi. Scrivere ci aiuta a scoprire i nostri lati nascosti e a superare momenti di sofferenza e di depressione. Ma è anche uno stimolo per la mente, riattiva la memoria, ci spinge a contattare le nostre emozioni, rimette in moto il pensiero e la creatività, ci permette di rielaborare le nostre esperienze in un discorso coerente che poi guida le nostre azioni. Scrivere aiuta, cioè, a cambiare.  

C’è un’età in cui questo desiderio di ripercorrere la propria vita si presenta più spesso?
Il desiderio sorge soprattutto tra i 40 e i 60 anni, un’età di ripensamenti, di bilanci, di riflessioni. Ma anche di un possibile nuovo inizio, visto che l’età media oggi è sempre più lunga. Lo stimolo può essere un lutto importante, una separazione, la perdita del lavoro: a un certo punto si avverte la necessità di rimettersi in discussione. Del resto, anche molti scrittori hanno cominciato a scrivere in momenti critici della loro esistenza: si pensi, per esempio, a Ovidio, o a Dante.

Un’altra età delicata, momento di cambiamento per eccellenza, è l’adolescenza.
L’adolescenza è, tradizionalmente, l’età dei diari. Il filosofo Walter Ong aveva però denunciato, nel secolo scorso, un’oralità di ritorno, cioè un abbandono della scrittura e dell’autoanalisi per concentrarsi sull’immediato e sull’immagine. Ne attribuiva le cause alla “cultura elettronica”, favorita dalla radio, dal telefono, dalla televisione. Si potrebbe dire che, con internet, stiamo assistendo anche al fenomeno contrario: gli adolescenti si stanno riavvicinando alla scrittura molto più che nei decenni passati, e alcuni di loro, dopo l’ubriacatura dei social network, si cimentano con i diari o con i racconti, come facevano i loro coetanei nell’800. E anche se i linguisti storcono il naso di fronte alla loro sintassi, non c’è dubbio che la scrittura possa aiutarli a prendere contatto con la propria interiorità in una fase in cui è importante farlo. Come ben spiegava Enrico Brizzi nel suo romanzo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, c’è un momento in cui uscire dal gruppo diventa necessario, poiché i miti del “branco” non corrispondono alla realtà. La scrittura li aiuta a riavvicinarsi a se stessi.

Non c’è il rischio di ripiegarsi troppo verso di sé?
In effetti oggi c’è un’epidemia di narcisismo e di egocentrismo, ma la vocazione della scrittura è, fin da quando è nata, quella di comunicare: chi scrive ambisce ad avere dei lettori. Nella nostra scuola, tipicamente sono due le tappe: la prima è concentrarsi sulla propria storia, la seconda è condividere il proprio vissuto con gli altri. La scrittura diventa un’autocura e un momento di crescita quando è in rapporto con la vita, con gli altri, con il mondo. Con la natura, anche, come ho scritto nel mio ultimo libro Green Interiority.

Che cosa significa diventare adulti?
Freud diceva: diventiamo adulti quando impariamo a lavorare e ad amare. Oggi non è molto diverso. Le due conquiste più importanti sono: il senso di responsabilità, che passa dal lavoro, cioè dallo smettere di vivere di espedienti; e la relazione continuativa, con un progetto di vita insieme, che è ben diversa dai rapporti mordi e fuggi. Io sostengo, tuttavia, che è bene mantenere anche un certo grado di “immaturità”: restare flessibili, aperti alla ricerca e al cambiamento. È insomma importante “restare incompiuti”.

Tutti possono scrivere?
Certo. Non stiamo parlando di far letteratura, ma di accostarsi alla narrazione di sé. Noi ci rivolgiamo anche a persone che hanno pochi strumenti culturali, per esempio i detenuti, oppure chi è ricoverato in ospedale o nei servizi psichiatrici. Non serve saper scrivere, basta aver qualcosa da raccontare. E qualsiasi storia, anche quella apparentemente più ordinaria o monotona, ha sempre qualcosa di specifico, di unico.

Che fare con i momenti più difficili o dolorosi della propria storia personale? Quelli che generalmente si ha la tendenza a rimuovere?
Noi incoraggiamo a raccontare anche le parti più drammatiche. Come è noto, per uscire dalla sofferenza bisogna passarci attraverso. Non ci si può nascondere, e da questo punto di vista la scrittura non fa sconti: se l’obiettivo è raccontarsi, non si può farlo all’insegna della menzogna o di una visione estetizzante. Certo, se per esempio si vuole lasciare una testimonianza ai propri nipoti, si ha tutto il diritto di tacere alcune parti che non si vuole vengano lette. Ma noi consigliamo di scriverle comunque, e di condividerle in un contesto protetto, che garantisca l’anonimato.

Ha notato differenze nel modo in cui si raccontano gli uomini e le donne?
Ai nostri corsi di autobiografia il 95 per cento dei partecipanti è composto da donne. Le donne hanno una maggiore propensione per l’interiorità e per la narrazione: leggono di più, per esempio, o affrontano più facilmente una psicoterapia. Gli uomini, invece, sono poco abituati all’introspezione: sono più per l’esteriorizzazione, per la praticità e per l’apparenza, non si soffermano sugli aspetti profondi della vita. La differenza la vediamo anche nelle loro autobiografie: gli uomini sono più portati a ripercorrere le gratificazioni e i successi personali, le donne, invece, indugiano più sui ricordi emotivi e sulle relazioni. Eppure gli uomini che scelgono di rivolgersi alla scrittura in seguito a momenti di crisi o di depressione arrivano alla stessa capacità di autoanalisi e conoscenza di sé. E, generalmente, stanno molto meglio.

Perché ha fondato l’Accademia del silenzio?
L’Accademia del silenzio nasce ad Anghiari, che è un luogo di silenzio. Qui si sono incontrati e si incontrano esperti di vari campi – poeti, musicisti, storici, filosofi, antropologi – per confrontarsi sul ruolo del silenzio nelle loro vite. L’idea che è emersa è che il silenzio sia un’esperienza umana essenziale, con cui bisogna fare i conti. Chi la rifugge – per esempio chi entra in casa e sente subito il bisogno di accendere la televisione – non ha un buon rapporto con se stesso. Per guardare davvero dentro di sé, è necessario prima di tutto fare silenzio.

 

Marta Erba (articolo scritto per Focus Extra)

©martaerba.it

 

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