Il pensiero orientale (così diverso dal nostro) prende origini dagli insegnamenti di quattro grandi personalità, vissute nello stesso periodo storico: Confucio, Buddha, Laozi e Sunzi.
Circa 2500 anni fa accadde qualcosa di straordinario: tra il VI e il III secolo a.C, un’epoca che il filosofo Karl Jaspers ha battezzato “periodo assiale”, in tutto il mondo gli uomini cominciarono a porsi domande radicali sull’esistenza. Lo fecero in Grecia filosofi come Eraclito, Socrate e Platone, ponendo le basi della cultura occidentale. Lo fecero in Cina pensatori altrettanto brillanti, che alle stesse domande diedero però risposte diverse, sviluppando un altro modo di vedere il mondo. Tre nomi su tutti: Confucio, Laozi e Sunzi. Il pensiero orientale ha le sue radici nella commistione tra la dottrina morale del primo, la religione fondata dal secondo (il daoismo) e le strategie comportamentali suggerite dal terzo (nel celebre trattato L’arte della guerra). Ma anche dalle intuizioni di un principe indiano che, nello stesso periodo chiave della storia dell’umanità, si dedicava alla meditazione: si chiamava Siddhārtha Gautama, ed è oggi meglio conosciuto come il Buddha, l’illuminato.
Fervore intellettuale. “In Cina il periodo assiale corrisponde al periodo degli “Stati Combattenti”, che terminò nel 221 a.C. con l’unificazione della Cina sotto un unico imperatore” spiega Maurizio Scarpari, sinologo emerito all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Fu una fase di grande fervore intellettuale: per porre fine a una lotta politica e militare che si trascinava da secoli, serviva elaborare un pensiero unificante. Un intento che si realizzò pienamente nei secoli successivi, durante la dinastia Han (206 a.C – 220 d.C.), quella della massima espansione cinese.
“A forgiare l’ossatura ideologica di un impero che durò ben 2000 anni furono tre classi di intellettuali: i cosiddetti “legisti”, i confuciani e i daoisti” chiarisce Scarpari. “I primi – così chiamati per il ruolo centrale che riconobbero alla legge – furono quelli che più contribuirono all’unificazione: erano pragmatici uomini di Stato, impegnati a dare all’impero la migliore organizzazione possibile. Furono loro a creare un efficiente apparato burocratico in grado di amministrare un territorio immenso e un esercito “moderno”, basato sul merito e sulle competenze e non sull’appartenenza alla classe nobiliare”.
Merito e moralità. La meritocrazia divenne un caposaldo anche per i confuciani, i cui insegnamenti erano accessibili a tutti, senza distinzione di classe. Presto prevalsero sui legisti, rendendo la propria dottrina più funzionale al governo, tanto che per molti secoli la condicio sine qua non per fare carriera tra il personale amministrativo dell’impero era conoscere bene i Cinque classici della letteratura cinese, la cui compilazione è attribuita a Confucio.
“I confuciani ponevano le proprie capacità e qualità morali al servizio della collettività” spiega il sinologo. “I loro valori erano la solidarietà, la benevolenza, la giustizia, la lealtà, il rispetto per gli anziani e i superiori, il culto degli antenati. Più che la preparazione giuridica, per loro era importante quella etica. Una classica disputa con i legisti era la seguente: se un padre ruba una pecora, il figlio è tenuto a denunciarlo? Sì per i legisti, che invocavano il rispetto della legge, no per i confuciani, secondo i quali doveva prevalere la virtù della pietà filiale”.
Antichi insegnamenti. Su indicazione di Confucio, che si definiva un “messaggero che nulla ha inventato” poiché si limitava a trasmettere la sapienza degli antichi, i confuciani enfatizzavano l’importanza dello studio, inteso soprattutto come formazione morale, e la messa in pratica quotidiana delle norme apprese dalla vita dei re e dei saggi del passato. Lo stesso valeva per l’imperatore, che doveva conformare la propria condotta a questi antichi esempi: per tenere insieme un impero così vasto poteva contare sulla potenza della sua virtù più che sulla forza delle armi. Solo un re virtuoso godeva del favore celeste: il “Mandato del Cielo” sottolineato dai confuciani, a differenza del diritto divino dei re europei, consentiva infatti la detronizzazione del sovrano ingiusto. Un imperatore legittimo, quindi, non doveva essere per forza di nascita nobile, tanto è vero che potenti dinastie come gli Han e i Ming furono fondate da uomini di nascita comune.
Corsi e ricorsi. Secondo questa visione, la Storia non era un progredire lineare di eventi, ma un’alternanza ciclica di fasi per gestire le quali era necessario trarre ispirazione dalla migliore tradizione. “Si trattava tuttavia di una mitologia funzionale, costruita ad hoc” spiega Scarpari. “Per esempio il primo imperatore Qin, che unificò gli “Stati Combattenti”, inaugurò il culto delle montagne sacre poste ai confini dell’impero, dove il leggendario imperatore Shun più di 1500 anni prima aveva reso sacrifici al Cielo e alla Terra. Si trattava però di una leggenda totalmente inventata, che aveva lo scopo di legittimarlo come imperatore”.
Ma non erano solo le antiche tradizioni a stabilire le norme di comportamento. L’agire umano doveva rifarsi anche ai principi che regolano l’universo. Per i cinesi, allora come ora, eventi umani ed eventi naturali sono intimamente connessi.
Secondo Natura. La relazione tra uomo e natura era propugnata soprattutto dalla dottrina daoista, che si istituzionalizzò come religione intorno al I secolo. Laozi sviluppò il concetto di Dao (Tao secondo la vecchia trascrizione), cioè “la Via” rispettosa dell’ordine cosmico dell’universo, e quello di Yin e Yang, gli opposti complementari e interdipendenti (luce e oscurità, maschio e femmina, attività e passività, movimento e staticità…), ciascuno dei quali non può esistere senza l’altro: non c’è quindi distinzione netta tra bene e male, tra bello e brutto, tra giusto e sbagliato.
Poiché ciascuno ha in sé le doti naturali per risolvere i problemi, i daoisti esortavano alla “spontaneità”, ma poiché il ritmo naturale degli eventi non va mai ostacolato, invitavano contemporaneamente al “wuwei”, cioè all’”agire senza agire”: non vale la pena spendersi troppo per far andare le cose in un certo modo. Posizioni in contrasto con l’impegno sociale predicato dal confucianesimo.
Sincretismo. “Eppure, nonostante punti di vista diversi, in Cina non ci sono mai state vere e proprie guerre di religione” osserva Scarpari. “Daoisti e confuciani prendevano ispirazione gli uni dagli altri, arricchendosi a vicenda”. Come lo Yin e lo Yang, erano tra loro complementari: il confucianesimo rappresentava il lato pratico, sobrio, sociale del popolo cinese, il daoismo ne incarnava l’aspetto metafisico e artistico, libero da vincoli e condizionamenti.
Questo sincretismo religioso aprì le porte anche al buddhismo, che arrivò in Cina intorno al primo secolo per affermarsi soprattutto sotto la dinastia Tang (VII-X secolo). Il buddhismo condannava gli eccessi, sia il mero appagamento dei sensi, sia la loro mortificazione, predicando una sana “via di mezzo”. Il cinesi adattarono questa dottrina alla loro cultura, sviluppando il buddhismo Chan, che dalla Cina si diffuse in Corea, nel Sud Est asiatico e in Giappone (dove divenne il buddhismo Zen).
Questa commistione di dottrine e sistemi di pensiero venne favorita da un modo di ragionare flessibile, privo di assoluti e di dogmi. Un atteggiamento ben espresso in un antico trattato di strategia militare utilizzato ancora oggi nei corsi per manager: L’arte della guerra di Sunzi.
Guerre ideali e reali. “In Europa le strategie di guerra si sono sempre basate su modelli teorici ideali” spiega il filosofo francese François Jullien nel libro Pensare l’efficacia in Cina e in occidente. “Dalla Grecia in poi, i trattati sono sempre stati prevalentemente tecnici: come schierare le truppe, come farle muovere, le tattiche, la logistica. In realtà le guerre reali sono sempre molto diverse dalle guerre pianificate”. Basti pensare al primo conflitto mondiale, che avrebbe dovuto essere una guerra lampo e che fu invece una logorante guerra di trincea; o alla battaglia di Waterloo, dove Napoleone perse perché non aveva previsto la pioggia.
Nel trattato di Sunzi la logica è ribaltata: non esistono modelli, ci si regola sulla situazione reale e sul suo “potenziale”. Se per gli occidentali l’imprevisto è un impiccio, per gli orientali è un’opportunità: l’accento non è posto sull’obiettivo ma sul processo, sulla ricerca di situazioni favorevoli da cui trarre profitto e di situazioni sfavorevoli da trasformare a proprio vantaggio. “Secondo Sunzi, le circostanze non vanno forzate ma assecondate: come dicevano i saggi cinesi, per far crescere una pianta non bisogna tirarla, bensì smuovere la terra e annaffiarla” spiega Jullien.
Al posto del volontarismo occidentale, gli orientali preferiscono la spontaneità indicata dai daoisti, al posto dell’azione, il wuwei, cioè la “non azione”: meglio combattere solo quando si è già vinto, e fare meno vittime possibili. Se in Occidente sterminare il nemico era un vanto, in Oriente uccidere è sempre stato considerato una perdita, piuttosto bisogna tentare di far passare il nemico dalla propria parte. La Cina è l’unica grande civiltà che non abbia conosciuto il genere letterario dell’epopea: per i cinesi non esistono grandi vittorie, non esistono eroi.
I quattro saggi
CONFUCIO
Confucio nacque nella città di Zou, nel principato di Lu (Cina orientale), nel 551 a.C., nel Periodo delle primavere e degli autunni, un’epoca di anarchia e instabilità politica. Non ci sono notizie certe sulla sua vita. Secondo la tradizione ebbe un’infanzia povera e da adulto ricoprì alcune modeste cariche amministrative. Intorno ai cinquant’anni fu chiamato dal sovrano di Lu e nominato ministro della Giustizia, ma in seguito abbandonò la carica e viaggiò di stato in stato per diffondere le proprie idee. Tornò infine nel suo paese d’origine dedicando gli ultimi anni all’insegnamento e alla raccolta ed esegesi dei testi del passato.
Fama postuma. Dopo la sua morte, molti pensatori (il più noto fu Mencio) rielaborarono la sua dottrina, raccogliendo una serie di aforismi e frammenti nei Dialoghi, e dando vita a un movimento di pensiero che costituì l’ossatura ideologica dell’impero cinese, e che poi si diffuse anche in Corea, Giappone e Vietnam. Il pensiero confuciano fu introdotto in Europa nel XVII secolo dai gesuiti, che latinizzarono il nome cinese Kong Fuzi (Maestro Kong) in Confucius.
Due perle di saggezza:
Colui che desidera assicurare il bene di altri, si è già assicurato il proprio.
Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo.
BUDDHA
Secondo la tradizione Siddhārtha Gautama nacque nel Nepal meridionale, a Lumbinī, intorno al VI-V secolo a.C. Proveniente dalla famiglia ricca e nobile degli Śākya, che regnava su uno dei numerosi Stati dell’India del nord, a 29 anni decise di uscire dal palazzo paterno per vedere la realtà del mondo. Il contatto con un lebbroso e la visione di un funerale gli fecero comprendere la sofferenza comune a tutta l’umanità e l’inconsistenza di valori quali la ricchezza, la cultura e l’eroismo. Dopo l’incontro con vari maestri e l’applicazione a differenti pratiche ascetiche e dietetiche, capì che per la meditazione il corpo non doveva essere spossato dalla fame né da sofferenze autoinflitte.
L’illuminazione. All’età di 35 anni, in una notte di luna piena, seduto nella posizione del loto sotto un albero di fico a Bodh Gaya nella posizione del loto, Siddharta raggiunse il Nirvana, l’illuminazione perfetta. Da allora divenne il Buddha, “colui che si è risvegliato” in sanscrito. A Sārnāth, nel Parco delle Gazzelle, fece quindi il celebre “Discorso di Benares”, da cui prese origine il Dharma, la dottrina buddhista.
Siddhārtha Gautama morì a Kuśināgara, a ottant’anni, circondato dai suoi discepoli.
Due perle di saggezza:
“Tutte le cose composte sono destinate a disintegrarsi”.
“Vinci l’ira con la delicatezza, la cattiveria con la bontà, l’avarizia con la generosità, la menzogna con la verità”.
LAOZI
Trascritto anche come Lao Tzu o Lao Tse, Laozi – il fondatore del daoismo – visse nel VI secolo a.C. secondo la tradizione cinese. Secondo una leggenda nacque da una vergine, dopo vari anni di gravidanza (il suo nome significa infatti “vecchio bambino”), e la madre lo partorì dal cavo ascellare. Avrebbe poi lavorato come archivista nella Biblioteca Imperiale della corte reale Zhou, dove conobbe Confucio.
Errante. Presto avrebbe però lasciato il lavoro per viaggiare verso Occidente in groppa al suo bufalo marino. Arrivato al posto di guardia di Hangu, gli fu chiesto di lasciare qualche scritto sulla sua filosofia prima di andarsene: sarebbe nato così il Daodejing (Classico della Via e della Virtù), la sua unica opera in cinquemila caratteri.
Quindi Laozi scomparve senza essere mai più rivisto.
Due perle di saggezza
“Anche un viaggio di mille miglia inizia con un passo”.
“Fa più rumore un albero che cade, piuttosto che una foresta che cresce.”
SUNZI
Il famoso generale e filosofo cinese, il cui nome viene trascritto anche Sun Tzu, visse fra il VI e il V secolo a.C. Nato nello stato Qi, nella Cina settentrionale, apparteneva all’aristocrazia minore, che aveva perso i suoi domini durante il Periodo delle primavere e degli autunni. Passato alle dipendenze del re dello stato di Wu come consigliere, si distinse per le sue conquiste militari. Accusato di aver preso parte a un complotto, fu evirato e mandato in esilio; fu allora che scrisse il saggio di strategia militare che lo rese famoso, L’arte della guerra.
Attuale. Il manuale, probabilmente il più antico testo di arte militare esistente, espone teorie che hanno oggi trovato applicazioni nel campo delle strategie manageriali. L’idea di base è quella di ottenere il massimo profitto nel minor tempo possibile, meglio se senza combattere e con il minimo di perdite.
Due perle di saggezza
“Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere”
“Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore”
Marta Erba (articolo scritto per Focus Storia)