Le origini del pudore, emozione squisitamente umana che si è evoluta nei nostri antenati probabilmente per proteggere la coppia.
Situazione 1: nel maggio 2015 quattro turisti occidentali si denudano sulla cima del monte sacro Kinabalu, in Malesia. Qualche giorno dopo vengono incarcerati: secondo le autorità del luogo il loro gesto avrebbe turbato gli spiriti e causato un violento terremoto.
Situazione 2: nel marzo del 1998 i servizi di sicurezza irrompono in un negozio di Palm Desert, in California, denunciano un probabile attacco terroristico a base di spore di antrace e intimano ai 200 clienti di spogliarsi per procedere alla decontaminazione. In tanti si rifiutano di denudarsi.
Si tratta di due vicende emblematiche: in entrambi i casi alcune persone hanno rischiato la vita, ma nel primo caso perché si sono spogliati senza vergogna, nel secondo perché hanno avuto vergogna di spogliarsi. Insomma: il senso del pudore, il naturale sentimento di vergogna per la propria nudità, è una faccenda molto più seria di quel che potrebbe sembrare.
Perché esiste. “La vergogna è un’emozione tipicamente umana” spiega Tiziana Bastianini, segretario scientifico della Società psicoanalitica italiana. “Riguarda sia se stessi, perché è legata all’autoconsapevolezza, ma è anche un’emozione sociale, perché implica lo sguardo giudicante degli altri”. Ma perché ci vergogniamo quando siamo nudi? Eppure così accade alla maggior parte di noi. E non è un caso che gli organi genitali siano anche chiamati “pudende” (o pudenda), un termine latino che significa “cose per cui si deve provare vergogna”.
Sembra che la vergogna per la propria nudità si sia diffusa nella maggior parte delle società umane per proteggere la coppia. L’uomo è un animale sociale, e interagisce in continuazione con i suoi simili, ma l’esposizione della nudità, essendo un forte stimolo sessuale, minaccia la monogamia. “Ecco dunque la vergogna, che ci spinge a coprirci, evitando di indurre gli altri in tentazione” spiega Francesco Aquilar, presidente dell’Associazione italiana di Psicoterapia cognitiva e sociale. “La vergogna è infatti un’emozione che ha prima di tutto una funzione protettiva”. Lo dimostra la tipica postura della vergogna: la schiena curva, il capo chino, gli occhi bassi, come a volersi magicamente sottrarre agli sguardi mettendo in atto la “strategia dello struzzo” (chi prova vergogna, infatti, vorrebbe “sprofondare sotto terra”). E lo dimostra il rossore, una reazione dell’organismo che ha un effetto paradossale: rende evidente a tutti un’emozione che si vorrebbe tenere nascosta. Ma chi arrossisce ammette sinceramente – poiché il rossore non si può simulare – il proprio errore, inducendo chi si sente offeso a non aggredirlo.
Tramandato. Nel caso del pudore, la trasgressione sociale sottolineata dal rossore è la provocazione sessuale quando non dovrebbe esserci. Ecco perché nella maggior parte dei gruppi sociali se ne è sempre tramandata l’importanza attraverso i testi sacri, i miti, perfino le favole. Secondo la Bibbia, Adamo ed Eva, subito dopo aver assaggiato il frutto proibito, si vergognarono della propria nudità e si coprirono con una foglia di fico. La mitologia greca racconta che un giorno il giovane Atteone, recandosi a caccia, si imbattè in Artemide che si stava facendo il bagno: offesa per essere stata sorpresa nuda, la dea lo trasformò in un cervo e lo fece sbranare dai suoi cani. E ancora, in una nota favola di Andersen, I Vestiti nuovi dell’imperatore, un sovrano convinto di indossare un abito bellissimo sfila in mezzo alla città completamente nudo, subendo di fronte al suo popolo la peggiore delle umiliazioni. Racconti diversi ma che sembrano suggerire la stessa cosa: della nudità è giusto che ci si vergogni.
Innato e acquisito. Quello su cui invece gli esperti ancora non concordano è se noi nasciamo pudichi o impariamo a esserlo. Molti psicologi ritengono che il pudore sia, almeno in parte, innato. “Mediamente sorge intorno ai quattro anni” spiega Francesco Aquilar, presidente dell’Associazione italiana di Psicoterapia cognitiva e sociale, “e si intensifica con la pubertà, specie tra padre e figlia; la figlia teme un’involontaria attivazione sessuale nel padre, il padre un possibile giudizio sessuale nella figlia”. Quel che è certo, tuttavia, è che il pudore è estremamente variabile: cambia a seconda delle persone, delle circostanze, dei luoghi, e di molti altri fattori.
Tanto per cominciare il pudore non è uguale nei due sessi. Quello maschile si concentra sui genitali (anche perché potrebbero rendere evidente un eventuale desiderio sessuale attraverso l’erezione), quello femminile coinvolge anche il seno (in particolare le areole mammarie e i capezzoli). Ma non è così ovunque: la cultura islamica, per esempio, impone alle donne di coprire l’intero corpo, e spesso anche il viso, mentre alcune tribù africane considerano del tutto normale girare completamente nudi, oppure “vestirsi” con il body painting.
E anche nello stesso luogo le norme variano moltissimo nel corso della Storia. Greci e Romani, per esempio, praticavano lo sport completamente nudi. Anche alle Terme si spogliavano del tutto, benché uomini e donne in spazi e orari separati. Il pudore era invece importante per il sesso femminile: le matrone erano tenute a seguire le indicazioni della dea Pudicizia (a cui erano dedicati templi e monete), che imponeva di passare la maggior parte del tempo tra le mura domestiche e di essere “univira”, cioè di appartenere a un solo uomo.
Oltraggio al pudore. Nei secoli successivi il pudore è stato condizionato dalla Chiesa cattolica, che dal Medioevo in poi ha considerato la nudità peccaminosa. A farne le spese fu perfino il Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, che il pittore Daniele da Volterra (in seguito soprannominato Braghettone) fu incaricato di ritoccare, coprendo le parti intime con opportuni vestimenti e fogliame.
La spregiudicatezza libertina del secolo dei lumi fu una breve paretesi. Il pudore tornò in auge alla fine dell’800, specie nel Regno Unito durante il lungo regno della regina Vittoria (1837-1901), quando le donne non potevano mostrare, e nemmeno menzionare in pubblico, parti anatomiche al di sotto del collo. Il corpo femminile era talmente tabù che perfino le gambe dei tavoli, che le evocavano, venivano coperte da lunghe e spesse tovaglie. Fu solo dopo la Seconda guerra mondiale che le donne cominciarono a liberararsi del tipico corpetto semirigido allacciato alla schiena e ad accorciare le donne, rivelando per la prima volta le caviglie e, dalla metà degli anni Venti, anche le ginocchia, e addirittura la schiena con appositi scolli a V.
Al cinema. Nel frattempo una nuova ondata di puritanesimo travolgeva il cinema, che in quegli anni si stata affermando. A Hollywood si distinse Will Hays con il suo codice di limitazioni per le scene di nudo: “gli organi genitali femminili non si possono mostrare, nemmeno in forma velata, coperti da un tulle o nell’ombra, né tantomeno in forma simbolica, come attraverso un solco” raccomandava. E ancora: “Evitare le danze che provocano movimenti dei seni, nonché una palpazione eccessiva del corpo immobile”. Del resto era fin troppo evidente che le nudità viste al cinema avevano un effetto dirompente, e non solo quelle femminili. Nel film Accadde una notte (1934), Clark Gable spogliandosi mise in mostra il torso nudo, rivelando che sotto la camicia non indossava nulla: nel giro di pochi giorni le vendite di canottiere crollarono vertiginosamente.
Oggi? Quasi scomparso. Oggi invece è tutto cambiato. “Non c’è dubbio che nei Paesi occidentali, Italia compresa, oggi il pudore appaia un sentimento molto ridimensionato rispetto al passato” osserva Roberta Giommi, direttore dell’Istituto internazionale di sessuologia di Firenze. “Se un tempo era molto più intenso tra le donne, oggi potremmo dire che è simile nei due sessi. E tra le ragazze, più che la tendenza a nascondersi, prevale la tendenza a mostrarsi, anche se resta il ‘divieto di toccare’”.
Ci sono poi contesti in cui il pudore si attenua. “In palestra e negli spogliatoi si riduce perché il corpo è vissuto come un corpo sportivo e non sessuato” prosegue Roberta Giommi. “Oppure negli ospedali, poiché si ritiene che medici e infermieri siano professionali e sessualmente neutrali: in questi casi il pudore si affievolisce, ma in genere non scompare mai del tutto. Anzi: non sono rari i casi in cui donne e uomini, proprio a causa del pudore, evitano di farsi visitare da ginecologi o andrologi, anche in caso di malattie gravi”.
Inoltre non ci vergogniamo con tutti allo stesso modo. “In generale il pudore è più forte con i ‘conosciuti abbastanza ma non troppo’” chiarisce Aquilar. “E’ basso con i familiari e gli amici stretti, non è mai eccessivo con chi è del tutto estraneo, mentre con gli intermedi può essere fortissimo”. E questo anche perché ci possono essere due ragioni che spingono a coprire il proprio corpo: il timore di suscitare desiderio, ma anche la paura di non essere desiderabili. Il primo è il pudore vero e proprio, il secondo è un aspetto più patologico e oggi sempre più diffuso.
Gli eccessi. Questo pudore disfunzionale può sorgere precocemente. “La curiosità per il corpo nudo è istintiva, e nei bambini non deve essere repressa” avverte Tiziana Bastianini. “Un atteggiamento troppo rigido, che spinge il bambino a provare una vergogna eccessiva, a lungo andare compromette il desiderio di conoscere ed esplorare il mondo, e favorisce un calo dell’autostima”. Può infatti subentrare “la vergogna della vergogna”, che suscita altre emozioni, come la rabbia per l’umiliazione, l’invidia, la paura di esporsi. “Particolarmente a rischio è la fase della pubertà, quando il corpo si trasforma e la nudità mette più in imbarazzo” chiarisce la psicoanalista. Il rischio è che il ragazzo assuma una visione distorta del proprio corpo, come la sensazione di essere troppo grasso o troppo magro, o sviluppi un’attenzione esagerata per alcuni dettagli, come la dimensione del pene per i maschi, del seno o dei fianchi per le ragazze. “È il fenomeno sempre più diffuso della dismorfofobia, in cui una persona teme di essere orribilmente deforme per qualche piccola imperfezione, o addirittura senza alcuna imperfezione” spiega Aquilar.
Passa in fretta. Ci sono poi situazioni in cui il pudore scompare, o addirittura si trasforma in un senso di orgoglioso esibizionismo, come quando vogliamo attrarre qualcuno. “Nell’intimità sessuale è normale perdere ogni inibizione” conferma Roberta Giommi. “E infatti quando la coppia entra in crisi uno dei segnali può essere il fatto che il pudore si ripresenta: per esempio uno dei partner comincia ad appartarsi quando si spoglia”. Allo stesso modo il pudore si attenua gradualmente in contesti in cui essere nudi o quasi è normale, per esempio nelle spiagge. E che il pudore possa anche passare del tutto lo ha dimostrato un esperimento della BBC, il principale canale tv del Regno Unito, che ha coinvolto 8 volontari a cui è stato chiesto di spogliarsi reciprocamente: all’inizio erano tutti imbarazzatissimi, ma nel giro di un paio di giorni hanno perso ogni inibizione. Del resto, che la vergogna si ridimensioni se il contesto lo permette o lo richiede lo dimostrano anche i milioni di nudisti abituati a frequentare le spiagge senza indossare il costume. E lo dimostrano anche le iniziative dell’artista americano Spencer Tunik, che periodicamente recluta persone disposte a posare nude per le sue spettacolari fotografie: a presentarsi sono sempre in centinaia, con il record nel 2007 a Città del Messico, dove a posare nudi in piazza della Costituzione furono in più di 18.000.
Scandalo! Infine, il pudore (degli altri, in questo caso) può essere usato anche per attrarre l’attenzione. È il caso di chi pratica lo “streaking”, uomini e donne che interrompono spettacoli o manifestazioni sportive mostrandosi nudi e correndo per non farsi prendere dalla polizia: un fenomeno che si è diffuso dopo il 1973 come risposta alla legge contro l’oscenità emanata dalla Corte suprema degli Stati Uniti. Accadde durante la consegna degli Oscar nel 1974 davanti a uno sconcertato David Niven e, nello stesso anno, durante la partita di rugby Inghiterra- Francia davanti a 53000 persone.
E c’è anche chi fa streaking per portare avanti battaglie politiche. Seguendo l’esempio di Lady Godiva – la nobildonna inglese che intorno all’anno mille cavalcò nuda per la città di Coventry per protestare contro le imposte che suo marito esigeva dagli abitanti – le militanti di Femen, gruppo femminista fondato nel 2008 in Ucraina, mostrano publicamente il seno per difendere i diritti delle donne. Apparentemente una contraddizione, se si pensa che le femministe del passato hanno a lungo combattuto contro spettacoli quali lo striptease e il burlusque, dove le donne erano sottoposte allo “sguardo mercificante del maschio”. Le adepte di Femen, invece, rivendicano l’uso del proprio corpo per far sentire la propria voce di protesta: una rilettura moderna del vecchio slogan femminista “il corpo è mio e lo gestisco io”.
Marta Erba
Articolo scritto per Focus