Il narcisismo

Disturbo di personalità o epidemia globale? Che cos’è davvero il narcisismo, termine entrato nell’uso quotidiano ma il cui reale significato quasi nessuno conosce.

narcisismo sricciardelli martaerba.itNarcisi lo siamo un po’ tutti. La differenza è che il fanciullo del mito si rifletteva in uno specchio d’acqua, noi nel display dello smartphone, tra un selfie e l’altro. Ci si scherza, ma la selfie-mania è solo la punta dell’iceberg dell’epidemia di narcisismo che sta contagiando il mondo: tutti ci teniamo a fare una buona impressione sugli altri, tutti spendiamo soldi ed energie per essere belli e apparire più giovani, tutti ci illuminiamo per ogni “mi piace” aggiunto ai nostri post su facebook o twitter. Ma allora, viene spontaneo domandarsi: se narcisisti lo siamo un po’ tutti… ha ancora senso considerare il narcisismo una patologia?

 

QUESTIONE APERTA. Questa domanda è stata di recente al centro di un dibattito accesissimo. Per una decina d’anni una task force selezionata di psichiatri di tutto il mondo si è confrontata per definire l’elenco delle malattie mentali e per stabilire criteri condivisi per diagnosticarle. Il risultato è stato il DSM-5, quinta edizione del “manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali”. «Uno degli argomenti più controversi è stato proprio il narcisismo» commenta lo psichiatra Paolo Migone, direttore responsabile di Psicoterapia e scienze umane, che ha seguito da vicino il dibattito. “La task force aveva inizialmente ipotizzato di eliminarlo dal manuale. Ma i massimi specialisti di tutto il mondo sono insorti per impedirlo”. Così nel DSM 5, pubblicato nel 2013 dopo un imbarazzante sforamento del budget (per realizzarlo sono stati spesi ben 25 milioni di dollari) e con diversi punti rimasti in sospeso, il “disturbo narcisistico di personalità” è rimasto identico a quello del manuale del 1994, lasciando scontenti un po’ tutti. Ma perché questa disparità di vedute?
Semplificando, uno psichiatra “biologista” (che cerca cioè dati biologici per spiegare i fenomeni psicologici) potrebbe tranquillamente affermare: “Il narcisismo non esiste: non c’è nessun esame clinico che ci permette di dire che una persona è narcisista, e nessun farmaco che cura il narcisismo. Inoltre ancora oggi gli specialisti troppo spesso non concordano sulla diagnosi”. E avrebbe ragione.
Uno psicoanalista potrebbe ribattere: “Il narcisismo non solo esiste, ma è anche uno dei disturbi mentali più gravi. Eliminarlo dal manuale, magari col pretesto che è un fenomeno diffuso, o addirittura un tratto vincente della personalità, è gravissimo. E se la società di oggi premia e incoraggia i narcisisti significa una cosa sola: che è la società a essere malata”. E avrebbe ragione anche lui.

Sigmund FreudIN PRINCIPIO FU FREUD. Ma che cos’è esattamente il narcisismo? Il concetto viene dal mondo della psicoanalisi. Fu Sigmund Freud a segnarne la nascita ufficiale, scomodando il famoso mito di Ovidio: un fanciullo bellissimo che allontanava da sé tutti coloro che lo avvicinavano, compresa la ninfa Eco perdutamente innamorata di lui, si innamora della propria immagine riflessa in uno stagno e passa il resto della vita a contemplarsi. Il mito di Narciso, per Freud, descriveva bene la condizione di chi è concentrato troppo su di sé a scapito degli altri intorno a lui. Ma commise un errore. “Freud sosteneva che la distribuzione dell’amore segue la legge dei “vasi comunicanti”: quanto più lo si rivolge a sé stessi tanto più lo si sottrae agli altri e viceversa” spiega Migone. “Oggi si ritiene l’opposto: difficile voler bene agli altri se non si vuole bene prima a se stessi”. In altre parole: avere una buona autostima è normale, ed è anzi indispensabile per amare e apprezzare gli altri. Ma c’è una profonda differenza tra un interesse sano per la propria apparenza e l’ossessione per l’immagine che si dà di se stessi, come se fosse l’unica cosa importante.  

AUTOSTIMA FRAGILE. Oggi il narcisismo è quindi un concetto un po’ diverso da quello teorizzato da Freud. “La caratteristica principale è proprio l’oscillazione continua dell’autostima” spiega Migone. “Il narcisista si sente talvolta una nullità, talvolta un essere eccezionale”. L’autostima del narcisista, che può apparire forte e inattacabile – e nei casi estremi può sconfinare nel delirio: un po’ come quei personaggi che, nelle barzellette sui matti, credono di essere Dio o Napoleone – è in realtà sempre fragile: Narciso, specchiandosi, si compiace della propria bellezza, ma si accorge anche, e in maniera distorta e ingigantita, di tutti i propri difetti. Ma soprattutto, così come il Narciso del mito non si accorge della ninfa Eco innamorata di lui (e che passerà il resto della sua vita a gemere nei boschi), il narcisista non ha alcuna sensibilità per gli altri e per i loro desideri, ed è incapace di amare. Ne sa qualcosa chi si innamora di un o una narcisista: si sente sfruttato, manipolato, e completamente ignorato.
Prima però di liquidare i narcisisti come persone irritanti e insopportabilmente egoiste, è importante ricordare come finisce il fanciullo del mito: Narciso, a furia di contemplarsi, si dimentica di bere e di mangiare e si lascia morire (oppure, secondo altre versioni, cade nello stagno e annega). Insomma, chi è narcisista sta male: prova un senso di vuoto incolmabile e finisce spesso con l’autodistruggersi.

DUE CATEGORIE. Alcuni psicoanalisti hanno provato a descrivere due tipologie di narcisisti: il narcisista “inconsapevole”, presuntuoso e arrogante, e quello “ipervigile”, schivo e inibito. Della prima categoria potrebbe far parte un artista istrionico, magari bravo ma convinto di essere il migliore di tutti, che non può fare a meno degli applausi del suo pubblico e che reagisce violentemente alle critiche. Narcisista del secondo tipo può essere invece un anonimo impiegato, all’apparenza innocuo e compiacente ma dentro di sé pieno di odio e livore per tutti coloro che hanno successo. Due persone apparentemente diversissime ma che rappresentano due facce della stessa medaglia. Il denominatore comune, infatti, è l’incapacità di provare piacere nelle relazioni con gli altri e una grande solitudine interiore. Per entrambi le emozioni più familiari sono l’invidia e la vergogna, quelle ignote sono la gratitudine e il rimorso. Il narcisista è insomma privo di quelle che lo psicologo Usa Howard Gardner battezzò, nel 1983, “intelligenza intrapersonale” (la capacità di accedere alle proprie emozioni profonde) e “interpersonale” (la capacità di leggere gli stati d’animo, le intenzioni e i desideri degli altri) e che il collega Daniel Goleman nel 1995 riunì in un unico concetto che chiamò “intelligenza emotiva”.

SI COMINCIA DA PICCOLI. Ma perché si diventa narcisisti? La psicoanalisi individua le ragioni nei primi anni di vita: un futuro narcisista ha genitori freddi e distaccati (non sono rari i casi di abusi e maltrattamenti), oppure – caso oggi più frequente – pieni di ammirazione ed esagerate aspettative nei confronti del figlio. In entrambi i casi il bambino non viene visto e riconosciuto per quello che è veramente. Finirà così per sviluppare un’identità, per così dire, “fasulla”, e inoltre a sua volta si disinteresserà dei reali sentimenti degli altri, così come è stato fatto con lui.
Certo è che se si sviluppa una personalità di questo tipo, non c’è molto da fare. Neuroscienziati come l’americano Daniel Siegel sottolineano come le prime relazioni interpersonali influenzano la maturazione dell’emisfero destro del cervello. Dal canto loro gli psicoterapeuti sottolineano come il lavoro con i narcisisti sia, se non impossibile, senz’altro lungo e difficile. Ecco perché abbassare la soglia di attenzione sul narcisismo è pericoloso.

PREOCCUPARSI? FORSE È IL CASO. L’allarme è stato lanciato da tempo, tra gli altri, dallo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, fondatore del Minotauro, istituto milanese specializzato nei problemi dell’adolescenza. “Se un tempo c’era il complesso di Edipo, basato sul senso di colpa, oggi prevale il complesso di Narciso, basato sulla vergogna” osserva lo psichiatra. “C’è una frangia sempre maggiore di adolescenti che soffre per la bruttezza, e per un sentimento di inadeguatezza che li fa sentire fragili. I ragazzi che non riescono a soddisfare gli altissimi ideali radicati nelle loro menti sviluppano quelle che noi chiamiamo “patologie della vergogna”: si va dai disturbi della condotta alimentare come l’anoressia e la bulimia, ai gesti di autolesionismo, al ritiro sociale”. Il dato più allarmante è forse quest’ultimo. Il fenomeno degli Hikikomori, vera e propria epidemia in Giappone, riguarda oggi anche l’occidente, compreso il nostro Paese: ci sono più di 70.000 ragazzi italiani che hanno smesso di andare a scuola e vivono chiusi nella loro stanzetta perché non si sentono all’altezza del mondo.
Marta Erba

(articolo pubblicato su FOCUS 268, febbraio 2015)

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